lunedì 1 dicembre 2003

Il Patto di Stabilit...

Il Patto di Stabilità è ora un pò meno stabile...
L'evento caratterizzante la settimana scorsa si è consumato martedì, quando Ecofin ha deciso di non multare Germania e Francia per lo sforamento dei rispettivi deficit di bilancio. Il Consiglio dei ministri economici europei, infatti, ha rifiutato le raccomandazioni della Commissione UE relative alla riduzione del deficit eccessivo di Francia e Germania, interrompendo in tal modo le procedure sanzionatorie avviate nel corso del 2003. La decisione, di fatto, ha determinato una sospensione de facto del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) in attesa di una sua prossima revisione, piuttosto che di una sua mera reinterpretazione (come invece successe circa un anno fa).
L'impatto economico dell'evento è di poca rilevanza (la Commissione chiedeva riduzioni non superiori allo 0,2% del PIL rispetto agli impegni previsti dai due Paesi), mentre è profondo quello di tipo politico-istituzionale, almeno sotto due profili principali:
1) la volontà dei governi nazionali dei Paesi principali di riaffermare l'autonomia della propria politica domestica rispetto a quella comunitaria (ne escono perdenti, quindi, la Commissione UE, per certi aspetti anche la BCE e comunque, più in generale, le istituzioni sovranazionali europee); 
2) l'equilibrio esistente (e forse già precario) tra Paesi piccoli e grandi dell'Unione, anche in prospettiva del prossimo ingresso di altri 10 Paesi (fra 6 mesi).
Ma il PSC va rivisto? Probabilmente sì, perché le attuali regole risultano fortemente asimmetriche in termini di incentivi, nel senso che non stimolano al consolidamento fiscale nelle fasi espansive, mentre vincolano eccessivamente nelle fasi recessive, divenendo, in definitiva, pro-cicliche e troppo rigide. Eppure la necessità di un coordinamento delle politiche fiscali in un'area connotata da un'unica politica monetaria resta innegabile, quindi nei prossimi mesi il dibattito non potrà che concentrarsi sulle possibilità di revisione del PSC, non certo sul suo abbandono. E fra le ipotesi più probabili vi è quella di concentrarsi non più sul deficit corrente complessivo in rapporto al PIL quanto su alcune parti del deficit stesso (ad es. sul saldo primario strutturale) oppure sul livello del debito totale in rapporto al PIL, per giudicarne la sostenibilità nel medio/lungo periodo (e se così sarà, per l'Italia saranno grossi problemi!)
Uno sguardo, infine, ai mercati. Il flusso di dati positivi dagli USA (PIL del terzo trim. rivisto in ulteriore rialzo, dal 7,2% all'8,2%; ordini di beni durevoli +3,3% in ottobre; ulteriore calo dei sussidi di disoccupazione), ma anche dall'Europa (in particolare l'IFO tedesco che in novembre sale da 94,3 a 95,7, contro attese a 94,8), non ha avuto ripercussioni importanti: i bond hanno ceduto terreno solo marginalmente, le Borse non ne hanno approfittato più di tanto, ed infine, il dollaro è apparso ancora debole, sull'onda dei timori legati da un lato al terrorismo mediorientale, dall'altro alle relazioni commerciali internazionali (dopo le quote sui tessili, gli USA impongono un dazio del 46% sui TV cinesi).





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