sabato 18 ottobre 2003

L'indebolimento del dollaro è utile agli USA?


E' il centro del dibattito attuale, dopo che dal meeting dei G7 è emersa la volontà (soprattutto statunitense) di ridurre gli interventi per alterare artificiosamente i rapporti di cambio tra le principali divise internazionali. Il messaggio era chiaramente rivolto alle valute asiatiche, in particolare lo yen giapponese e lo yuan cinese. Se il primo si è subito "adeguato", in maniera anche brusca, e coinvolgendo nel movimento anche la moneta unica europea (v. commento dello scorso 12 ottobre),  resta il problema della valuta cinese, rimasta ostinatamente legata al dollaro in parità fissa (8,3 yuan per dollaro).
L'auspicio di una rivalutazione dello yuan è del tutto giustificato dal punto di vista statunitense (!!). Se il deficit commerciale complessivo degli USA da marzo in poi ha cominciato a ridursi, probabilmente almeno in parte per effetto dell'indebolimento del dollaro, il disavanzo nei confronti di Pechino ha raggiunto il livello record di $ 11,7 miliardi, circa 1/3 del totale. Attualmente l'11,9% dell'import statunitense proviene dalla Cina che, infatti, ha superato il Giappone nella graduatoria dei principali esportatori verso gli USA, ed è terza alle spalle di Canada e Messico.


La crescita sostenuta dell'economia cinese degli ultimi anni (compresa tra il 7% e l'8%, malgrado il rallentamento della congiuntura mondiale dell'ultimo triennio e, per quest'anno, l'impatto negativo dovuto all'epidemia SARS ) è evidentemente avvenuta a spese dei Paesi occidentali, penalizzati dalla debolezza artificiale dello yuan nei confronti del dollaro. A sostegno di questa opinione vi è anche l'osservazione della composizione dell'avanzo di parte corrente accumulato da Pechino, in realtà sommatoria di un surplus verso i Paesi occidentali e di un deficit verso i Paesi asiatici.


In definitiva, alla luce di questi dati, l'importanza per gli USA della svalutazione del biglietto verde nei confronti di yen ed euro si ridimensiona notevolmente, e semmai va letta al contrario, ovvero dal punto di vista delle economie europee e giapponese che ne escono fortemente penalizzate. Diventa invece cruciale osservare l'evoluzione dello yuan: l'eventuale decisione cinese di abbandonare il peg fisso potrebbe determinare una reazione violenta nel cross contro dollaro, dell'ordine del 30% o anche più. Secondo prime stime l'impatto di una rivalutazione dello yuan di tale dimensione sarebbe dell'ordine di un 5% di minor crescita cinese e – asimmetricamente – di uno 0,7% di maggior crescita dei Paesi sviluppati.


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